In questa intervista, Valentina Dolciotti ci parla della nascita di “DiverCity magazine” e dell’importanza di una stampa che tratti i temi dell’inclusione e della Diversity, Equity & Inclusion.
D – Com’è nata l’idea di “DiverCity magazine” e quale sono gli obiettivi di questo progetto?
R – Al momento dell’ideazione della rivista, nel Natale 2017, già da sei anni mi occupavo di formazione DE&I e, l’anno prima, avevo pubblicato con Guerini Editore un libro dal titolo Diversità e inclusione. Dieci dialoghi con Diversity manager. L’intuizione di proseguire su questa strada è nata assieme a Tiziano Colombi. Mi disse: “La DE&I cambia velocemente, ci sono continui nuovi punti di vista e spunti”. Era vero e quello era il momento di picco della tematica in ambito aziendale, ma scrivere un ulteriore libro avrebbe significato almeno un altro anno di lavoro, mentre il mondo andava più in fretta. “E se fosse una rivista?” La formula del magazine, proposta da Tiziano, in effetti era più adatta a captare i cambiamenti mentre avvenivano, oltre al pregio di raggiungere un pubblico vasto, di essere forse un po’ più “pop”. Era periodo di regali e posso dire che, sotto l’albero, quell’anno, abbiamo “DiverCity”… Ad aprile la testata era registrata presso il tribunale di Bergamo, è uscito il primo numero e abbiamo dato il via a questa bellissima avventura. Un po’ folle, in effetti, visto che non nasciamo giornalisti!
Il primo numero l’ho realizzato praticamente da sola: contava una ventina di pagine e gli articoli presenti erano a firma di persone amiche, con cui avevo contatti da tempo. In cover c’è il vostro direttore esecutivo, Igor Šuran, conosciuto grazie a un amico comune oggi scomparso (il caro Fabio Galluccio, primo diversity manager dell’allora Telecom Italia). Igor si affidò a un progetto che nemmeno era nato, dandomi tantissima fiducia. Tiziano Colombi è salito a bordo poco dopo, occupandosi della parte commerciale (la sponsorizzazione da parte delle aziende) e dell’estetica della rivista. Oggi abbiamo quattro uscite all’anno, più di 100 pagine, e a breve uscirà il ventinovesimo numero!
D – Sono passati quasi otto anni da quando la testata è stata lanciata ufficialmente. Cos’è diventata “DiverCity magazine” oggi?
R – Ha avuto una grande evoluzione, e continua ad averla. Nata come rivista trimestrale di approfondimento sulla DE&I in termini generali, già dal quinto numero è stato chiaro che andava scelto un focus specifico, sotto il grande ombrello della DE&I. A seguito di questa svolta, abbiamo anche deciso di suddividere i contenuti del magazine in due grossi blocchi: i contributi di carattere culturale da una parte, le testimonianze aziendali dall’altra. Attenzione, non intendo dire che le aziende non possano creare cultura, anzi. La necessità è nata sia perché cresceva il numero di aziende presenti in ogni uscita, che andavano organizzate, sia perché una delle missioni della rivista è sempre stata offrire spunti, riflessioni, approfondimenti, in-formazioni sulla cultura che alimenta la DE&I, quindi era importante mantenere una sezione puramente educativa, “scientifica”.
Insomma siamo sempre in cambiamento!
La rivista è gratuita; la versione online (consultabile e scaricabile) si trova sul nostro sito insieme all’archivio di tutti i numeri precedenti. Inoltre agli eventi di presentazione delle uscite, trimestrali, regaliamo le copie cartacee (che sono tutta un’altra cosa!).
D – L’inclusione passa inevitabilmente da un uso consapevole del linguaggio. Avete adottato degli standard (linguistici e/o contenutistici) nella realizzazione della rivista?
R – Abbiamo imparato facendo, passo passo, numero dopo numero. Ci siamo post* il problema soprattutto quando arrivavano i contributi esterni. Internamente alla redazione avevamo, sin da subito, preso l’abitudine di declinare sia al maschile che al femminile, per evitare il maschile sovraesteso; successivamente, abbiamo introdotto prima l’uso dell’asterisco e infine della schwa per gli articoli nella sezione culturale, previo assenso degli autori/autrici. Alle aziende chiediamo di utilizzare un linguaggio ampio, non possiamo “imporre” nulla (ogni organizzazione ha una sua maturità rispetto al tema), ma certamente domandare che il testo sia declinato sia al maschile che al femminile. Richiesta che viene sempre accolta con entusiasmo.
Oggi, proprio perché il mondo cambia in fretta, si pone il tema delle persone con dislessia: alcune ci hanno segnalato difficoltà nel decifrare il grafema della schwa (ə/3). Del resto asterisco e schwa non sono la soluzione definitiva alla questione del maschile sovraesteso; arriveranno nuove soluzioni, più appropriate. Teniamo alta l’attenzione.
D – Nel marzo 2021 avete dedicato un intero numero alla tematica LGBTQI+: ce ne vuoi dare una panoramica?
R – È stata la decima uscita della rivista, in copertina compare Fabrice Houdart, un colosso della DE&I LGBTQI+ e direttore dell’associazione LGBTQ+ Corporate Directors. Abbiamo cercato di approcciare il tema a 360 gradi, eppure oggi mi rendo conto che – posto che ogni azienda ha il proprio percorso specifico – molti aspetti trattati all’epoca risultano ora già superati, acquisiti: ad esempio, nel 2025 non c’è da discutere della legittimità di parlare di LGBTQI+ nei luoghi di lavoro, o sull’opportunità di avere anche servizi igienici gender-neutral. Puntiamo più in alto.
Lavorare a quel numero ci ha dato inoltre l’opportunità di conoscere bellissime realtà artistiche, come il Festival internazionale Gender Bender (“festival multidisciplinare che offre una serie di eventi che spaziano da proiezioni cinematografiche a produzioni teatrali e spettacoli di danza, mostre di arti visive, installazioni, tavole rotonde”, N.d.R.), e di coinvolgere realtà istituzionali, con un contributo di UNAR (l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, N.d.R.) e un punto legislativo – a firma di Ivan Scalfarotto, tre le altre cose fondatore di Parks – a 5 anni dall’approvazione della cosiddetta Legge Cirinnà.
Ne ho un piacevolissimo ricordo ma, se dovessi rifare oggi il medesimo numero, sentirei il bisogno di spingere la conversazione più in là,bussando alla porta di chi sta mettendo in discussione principi, a mio avviso, inviolabili.
Nel giugno dello scorso anno, quindi nel 2024, è uscito il numero “Famiglie”, dove ha trovato ampio spazio la rappresentazione di tanti modi di essere famiglia, anche della comunità LGBTQI+, con contributi delle associazioni Famiglie Arcobaleno, Rete Lenford e Agedo.
D – Ci vuoi raccontare anche dell’ultima uscita, Corpi, presentata lo scorso 26 settembre a Milano?
R – Corpi è stato davvero un regalo. Ci concediamo sempre un numero all’anno (su quattro) che sia più “sperimentale” nei contenuti, per spingere in alto l’asticella della qualità, e Corpi è il nostro “azzardo” del 2025. Perciò, non lo nascondo, è stato un tema complesso anche da raccontare agli sponsor. Ma sono molto orgogliosa: la conversazione ha toccato una profondità che difficilmente raggiungiamo.
Lo stesso panel che presentava il volume a Palazzo Reale (Milano) lo definirei “coraggioso”: sono salite sul palco persone che hanno parlato dei propri corpi, corpi con disabilità, corpi transgender, corpi grassi, corpi unici… Abbiamo toccato un nervo scoperto della società odierna, di cui c’è tantissimo bisogno di parlare, specie in Italia. Perché, il corpo, ha a che fare proprio con tutte le dimensioni dell’inclusione che trattiamo quotidianamente nelle nostre aziende.
Una particolarità: per la prima volta nella storia di DiverCity magazine, la cover story non è dedicata a una (o più) persone: ci sono invece due scheletri abbracciati, ritrovamento archeologico conosciuto come “Gli amanti di Mantova”, un’immagine potentissima di cui lo scrittore Antonio Moresco, presente a Palazzo Reale, ci ha raccontato la storia.
D – E quale sarà il futuro prossimo di DiverCity?
R – Posso darvi, in anteprima, i temi del 2026: a marzo parleremo di A.I.; a giugno di salute; a settembre di pride; a dicembre, infine, ci concentreremo sul cibo e i diritti a esso correlati.
Ma prima di tutto questo…. Ci vediamo tra due mesi, a dicembre, per chiudere il 2025 con un numero interamente dedicato alla violenza di genere.