Quasi 500 i questionari compilati dai dipendenti IKEA di Bologna, Roma e Catania: l’85% dichiara di non avere alcun problema a lavorare accanto a colleghi dichiaratamente GLBT.

Milano, 31 gennaio 2012 – Nell’ambito della politica di diversity management sviluppata da tempo da IKEA Italia, è stata realizzata un’indagine tra i collaboratori dell’azienda svedese per comprendere a che livello è l’inclusione di gay, lesbiche, bisessuali e trans nell’ambiente di lavoro. Iniziativa dal forte significato simbolico e che solleva il velo su un tema che in Italia continua a produrre casi di discriminazione.

IKEA è socio fondatore di “Parks-Liberi e Uguali”, un’associazione di imprese che aiuta le aziende a implementare politiche di inclusione per tutti i dipendenti, con un focus particolare verso le persone GLBT. Parks è nata nel gennaio 2011 con l’adesione di importanti aziende italiane ed internazionali quali Telecom Italia, Johnson&Johnson, Roche, Citi, Lilly, Il Saggiatore, Linklaters, Sixty Group, Gruppo Consoft.

IKEA dopo affrontato l’argomento delle pari opportunità di genere (in azienda le donne sono il 58,60% e nelle posizioni manageriali superano il 41%), affronta ora un tema che qualche mese fa ha avuto una forte visibilità in seguito ad una pubblicità relativa all’apertura del negozio IKEA di Catania, dove campeggiavano due uomini ripresi di spalle e mano nella mano, sotto la headline “Siamo aperti a tutte le famiglie”.

Al questionario, erogato in forma anonima e cartacea al fine di assicurare l’assoluta confidenzialità dei dati, ha risposto il 44,11% dei dipendenti di tre negozi IKEA (Bologna, Catania e Roma/Porta di Roma): 476 su 1.079.
71 rispondenti (14%) si sono definiti gay, lesbiche, bisessuali o trans. La percentuale scende al 6,58%, se rapportiamo i 71 GLBT non ai 476 rispondenti ma al totale dei 1079 dipendenti.
L’inclusione dei collaboratori GLBT in IKEA sembra un fatto acquisito e pare non risultino comportamenti discriminanti da parte dell’azienda o degli altri coworkers. L’88% è certo che in IKEA tutti hanno pari opportunità di carriera, indipendentemente dalla loro identità di genere o dal loro orientamento sessuale.

Affrontato anche il tema della discriminazione positiva, ossia se l’attenzione alla diversità rischia di creare classi di persone avvantaggiate rispetto a chi non ha da far valere alcuna diversità: il 58% non riscontra alcuna discriminazione positiva in IKEA.
Infine, per l’82% la diversità deve divenire una priorità strategica per l’azienda, che deve creare un ambiente rispettoso e inclusivo per tutte le differenze, comprese quelle connesse all’orientamento sessuale e all’identità di genere.

Valerio di Bussolo, responsabile Relazioni Esterne IKEA, ha sottolineato che “ci troviamo di fronte ad un risultato molto positivo che dimostra una forte sensibilità sociale da parte dei nostri colleghi, che per noi non è una novità. Nuovo mi sembra invece il modo aperto e trasparente con cui si affronta il tema della diversità, anche la propria, atteggiamento che non è da considerare così scontato su temi simili. IKEA forse è un’isola felice da questo punto ma le cose possono cambiare ed è questo il nostro apporto per fare in modo che altre aziende, in particolare quelle che ancora non hanno aderito a Parks, affrontino con decisione il tema della Diversity, per evitare forme di discriminazione sociale ormai fuori dal tempo. I luoghi di lavoro, dove la gente passa otto o più ore al giorno, devono diventare luoghi dove ricostruire un senso di appartenenza e di comunità che negli ultimi anni sì è eroso pericolosamente”.

Ivan Scalfarotto, Direttore esecutivo di Parks, ha ricordato che “il rispetto e l’inclusione in azienda sono fattori formidabili di motivazione per chi lavora e si riflettono direttamente tanto sulla soddisfazione e sulla produttività delle persone quanto sulla capacità per le imprese di attrarre e trattenere i migliori talenti sul mercato. Creare luoghi di lavoro dove le centinaia di migliaia di persone gay, lesbiche, bisessuali e trans possano esprimere le proprie capacità professionali è dunque non soltanto una cosa giusta da fare sul piano etico ma è anche una buona pratica di business, come dimostrano le tante aziende che nel mondo lavorano da anni in questa direzione. In un momento di crisi come questo, lavorare in modo più intelligente e strategico anche su leve non economiche, ma motivazionali e di sviluppo delle professionalità, può essere una delle carte vincenti per la nostra economia”.