Gay,lesbiche, bisex e trans sono lavoratori migliori degli etero e sono fortemente motivati ad eccellere nel loro lavoro, a patto che possano vivere liberamente il loro orientamento sessuale e la loro identità di genere sul posto di lavoro. Lo rivela uno studio del Center for Work-Life Policy che quantifica quando economicamente costi alle aziende non adottare politiche di apertura nei confronti dei dipendenti GLBT.
Si calcola che l’88 per cento dei dipendenti che hanno fatto coming out anche con colleghi e superiori, siano disposti a dare quel qualcosa in più al loro lavoro, la stessa percentuale degli etero, mentre il 71 per cento si considera ambizioso, contro il 73 per cento degli etero, e il 66 per cento è impaziente di essere promosso, contro il 65 per cento degli etero.

Questi numeri diventano ancora più significativi se paragonati a quelli che riguardano chi non ha fatto coming out sul laovoro e vive di nascosto il proprio orientamento sessuale. Il 25 per cento di questi lavoratori dichiara di “non essere a proprio agio” ad essere se stesso durante le ore di ufficio e le implicazioni che nascono dal dovere nascondere un aspetto importante della propria identità sono quantificabili per le aziende.
Solo il 21 per cento dei lavoratori non dichiarati si fida del proprio datore di lavoro, contro il 47 per cento dei visibili. Il 23 per cento dei lavoratori non dichiarati, poi, sostiene di avere spirito imprenditoriale, contro il 35 per cento di chi ha fatto coming out. Inoltre, il 52 per cento sente che la propria carriera è in stallo contro il 36 per cento dei gay e delle lesbiche dichiarate. Per finire, solo il 48 per cento delle persone non dichiarate si sentono soddisfatte del loro attuale livello di carriera, contro il 64 per cento dei dichiarati.

“Le aziende intelligenti riconoscono che un ambiente inclusivo fa bene agli affari” scrive Sylvia Ann Hewlett sull’Harvard Business Review. E non è un caso che imprese del calibro di Cisco Systems hanno adottato importanti politiche di apertura nei confroni dei loro dipendenti lgbt ad esempio coprendo le spese per l’assicurazione sanitaria dei partner delle coppie gay anche se non ufficialmente riconosciute, o favorendo l’aggregazione e la formazione all’interno dell’azienda di specifici gruppi di lavoratori lgbt, come i gayglers di Google. In più, le politiche delle aziende riguardo ai lavoratori lgbt sono sempre più spesso un elemento importanten ella scelta del posto di lvoro ideale da parte di giovani laureati nelle principali università statunitensi e non solo.
Sylvia Ann Hewlett conclude che è in base anche a questo tipo di studi che il Senato americano ha sbagliato a non approvare l’abolizione del DaDt nelle forze armate statunitensi: in fondo, anche esercito, marina e areonautica sono posti di lavoro in cui ci si aspetta che i lavoratori diano il massimo.

http://www.gay.it/channel/attualita/30632/I-gay-sono-lavoratori-migliori-se-fanno-coming-out-a-lavoro.html